Per sconfiggere il nemico bisogna conoscerlo. Va in questa direzione l’iniziativa della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, che ha presentato una nuova banca dati per monitorare le emissioni di carbonio dei sistemi agroalimentari in tutto il mondo. L’agricoltura e lo sfruttamento di suolo in un futuro prossimo potrebbero non essere i maggior contributori di gas a effetto serra dell’agrifood, a causa della forte crescita di quelli generati dalla trasformazione alimentare: imballaggio, trasporto, refrigerazione, vendita al dettaglio, consumo domestico e smaltimento dei rifiuti.
Il quadro emerge da un nuovo studio, “Pre- and post-production processes along supply chains increasingly dominate GHG emissions from agri-food systems globally and in most countries” condotto appunto dalla FAO e firmato da ricercatori di diverse istituzioni (compresa l’ONU), che richiama l’attenzione su quei fattori inquinanti non correlati alle attività agricole né ai cambiamenti nell’uso del suolo.
Occhio alle emissioni inquinanti della filiera alimentare
“La tendenza più importante nell’ultimo trentennio a partire dal 1990 – osserva Francesco Tubiello, responsabile statistiche ambientali FAO – è il ruolo sempre più rilevante delle emissioni inquinanti legate al cibo e generate nei processi di pre e post produzione lungo le filiere alimentari. Ciò ha ripercussioni per le strategie nazionali di mitigazione, considerando che fino a poco tempo fa queste si sono concentrate principalmente sulla riduzione all’interno dell’azienda agricola e sulla CO2 derivante dal cambiamento di uso del suolo“.
Da qualche anno a questa parte stanno iniziando a pesare molto le emissioni legate alla vendita al dettaglio, compresi i “gas fluorurati” legati alla refrigerazione e agli impatti climatici, che si sono moltiplicati più del settuplo dal 1990, mentre quelli provenienti dai consumi delle famiglie sono più che raddoppiati.
Mentre le emissioni dei sistemi alimentari, in proporzione al totale, sono diminuite a livello globale dal 40% nel 1990 al 31% nel 2019, nei Paesi in cui predominavano i moderni sistemi agroalimentari si è verificato il contrario, ovvero sono aumentate dal 24% nel 1990 al 31% nel 2019. Un aumento delle emissioni trainato per lo più dall’anidride carbonica, a conferma del peso crescente dei processi di pre- e post-produzione che normalmente prevedono l’utilizzo di energia derivata da combustibili fossili.
Filiera alimentare e filiera agricola
Dallo studio emerge che dei 16,5 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra dovute alle emissioni totali globali dei sistemi agroalimentari nel 2019, 7,2 miliardi di tonnellate provenivano dalle imprese agricole, 3,5 dal cambiamento di uso del suolo e 5,8 miliardi di tonnellate dai processi di trasformazione della catena di approvvigionamento. E quest’ultima categoria emette già la maggior quantità di anidride carbonica, la metrica chiave man mano che si accumula, mentre le attività nelle aziende agricole sono state di gran lunga le maggiori emettitrici di metano e protossido di azoto, senza dimenticare che il decadimento dei rifiuti alimentari genera altrettanto significativi quantità di metano.
La FAO ora ha reso tutte queste informazioni disponibili sul portale FAOSTAT: una banca dati legata a 236 Paesi e territori nel periodo 1990-2019, che viene aggiornata annualmente. Un’iniziativa scientifica che può aiutare sia chi amministra sia i consumatori sia gli imprenditori del comparto agroalimentare a comprendere nel dettaglio il reale impatto delle catene di approvvigionamento globali, nell’ottica di riduzione delle emissioni.